Sebbene richiesto da anni il tele-lavoro è divenuto realtà diffusa, almeno nel nostro Paese, (in Europa era una consumata consuetudine in diversi Stati) solo a seguito dell’emergenza Covid-19-.
Lo smart-working, infatti, seppur attivato in fretta e furia anche da aziende che se ne erano sempre allegramente disinteressate, ha permesso la ripresa di buona parte delle attività produttive e di servizi, in un’ottica di contenimento della pandemia.
Un lavoro agile che, inizialmente sollecitato dai tanti protocolli di sicurezza e dalla stessa Inail, ha permesso di diminuire considerevolmente la presenza numerica di personale sui posti di lavoro e, aspetto non meno importante, anche sui mezzi pubblici, utilizzati da chi si sposta per andare in ufficio.
Ovvio che adesso, da parte dei Sindacati, la volontà di studiare dei percorsi che possano istituzionalizzare una pratica nata per far fronte a necessità emergenziali, ma che può diventare una fondamentale pratica in futuro, al fine di favorire una politica di conciliazione casa-lavoro.

Cosa prevede lo smart-working
Nonostante i tanti ispettori del lavoro impegnati a controllare che il lavoro agile venisse effettuato quando possibile, è importante sottolineare come questo non impedisca la presenza sul luogo del lavoro, soprattutto quando necessaria.
Questo anche in relazione alla stessa natura dello smart-working. Questo, infatti, a differenza del tele-lavoro classico (anche se spesso vengono impropriamente utilizzati come sinonimi) si caratterizza per un’attività professionale svolta in parte in azienda e in parte all’esterno della stessa.
Complice l’emergenza e i successivi decreti Cura Italia e Rilancio l’ampliamento dei destinatari. Di chi, cioè, possa vantare un diritto o una priorità nel godimento di tale tipologia lavorativa.
Se prima, infatti, si trattava di una prerogativa unicamente delle madri lavoratrici nei 3 anni successivi al congedo di maternità o a quelle che necessitavano di prestare assistenza ai figli disabili, il Coronavirus ha esteso i confini dei potenziali beneficiari.

Un diritto che è stato esteso, infatti, a:
- i lavoratori con figli con meno di 14 anni;
- i dipendenti affetti da grave disabilità;
- i lavoratori immunodepressi ( o che abbiano congiunti in questa situazione)
Non diritto, ma semplice priorità, al contrario, per coloro che siano colpiti da gravi e comprovate patologie, tali da limitarne la capacità lavorativa.
Quello nato a seguito del Coronavirus una esercitazione collettiva che ha permesso a molte aziende di familiarizzare con una formula lavorativa, prima atavicamente temuta da un popolo mediterraneo, in quanto foriera di mancanza di controllo.
Invece, forti dei tanti risultati tangibili, da parte di molte imprese la presa di coscienza che, come avrebbe detto il famoso personaggio di un film di Mel Brooks . ” Si può fare!”
In un’ottica del lavoro che vedrà il proprio epocale baricentro spostarsi dalla presenza e dal minutaggio lavorato al più significativo parametro degli obiettivi. Anche se opportunamente misurati.
Si apre insomma una stagione di contrattazione del lavoro agile che, almeno contemplando un’alternanza di lavoro a casa e in azienda, dovrà trovare nuove formule e strumenti per garantire le diverse istanze.
Link utili: per chi volesse leggere l’articolo completo, qui il link del Corriere